La sindrome da alienazione parentale o PAS (Parental Alienation Syndrome) è una presunta patologia – dal contestato e controverso fondamento scientifico – che porterebbe, in un contesto di separazione conflittuale o di asserita violenza domestica, il genitore collocatario – o vittima dei presunti abusi – a costanti comportamenti volti ad estraniare e allontanare i figli minori dall’altro genitore.
In realtà, proprio in ragione della sua “ascientificità” non è inserita in alcuna delle classificazioni in uso. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha avuto modo di precisare che tale mancato accoglimento è dovuto al fatto che l’alienazione di un genitore non corrisponda ad una sindrome, né ad un disturbo psichico individuale definito, quanto piuttosto ad un disturbo della relazione tra più soggetti, «una relazione disfunzionale alla quale contribuiscono il genitore alienante, quello alienato e il figlio/la figlia, ciascuno con le proprie responsabilità e con il proprio ‘contributo’, che può variare di caso in caso».
Con l’ordinanza n. 13217/201 la Corte di Cassazione, ponendo principi fondamentali in materia, ha bocciato i ragionamenti generici, solitamente adoperati dai CTU e recepiti dai Tribunali, che giungono ad una diagnosi scientificamente controversa come è quella della sindrome da alienazione parentale.
Per la Corte di Cassazione, infatti, non è sufficiente una “astratta prognosi” fondata su qualche episodio negativo, per diagnosticare la “Sindrome della madre malevola”.
Nel suo ragionamento, la Corte ritiene che nemmeno le “asprezze caratteriali” possono trasformarsi in una “inammissibile valutazione di tatertyp”, letteralmente “tipo normativo di autore” (termine tedesco a cui è ricorso il diritto penale nazista per categorizzare in termini identitari chi delinque).
In base alla citata ordinanza, dunque, non si può desumere la PAS dal carattere della persona “attraverso un implausibile sillogismo” la cui premessa principale è costituita da un severo stigma dei comportamenti della madre fondato sul mero riferimento di una condotta tesa ad estraniare il figlio dall’altro genitore.
La Cassazione, dunque, confermando un orientamento già emerso in recenti pronunce (Cassazione Civile n. 13.274 del 16 maggio 2019), ha espresso sul tema due principi fondamentali.
A corollario di queste regole processuali e sostanziali ve n’è una terza, il cui rilievo fondamentale – a pena di nullità della sentenza – è stato espresso dalla Cassazione Civile con la sentenza n. 13.274 del 2019.
L’ascolto diretto del minore da parte del Giudice di merito, finalizzato non soltanto al concreto accertamento del comportamento “alienante” denunziato ma anche ed in primis all’indagine dell’esclusivo interesse morale e materiale del fanciullo, è un adempimento necessario.
Pertanto, il Giudice, ove non ascolti direttamente il minore (in primis ove già dodicenne), deve adeguatamente motivare il mancato ascolto come superfluo o come contrario al suo interesse, pena la nullità dell’intera pronuncia.
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