Spesso si rivolgono a noi persone che non riescono a superare lo scoglio delle prove scritte dell’esame di abilitazione.
Nella maggior parte dei casi, al ritiro delle copie delle prove, si trovano dinanzi ai propri compiti e a un semplice numero, magari a una parola o due sottolineata, nel migliore dei casi a un appunto lasciato sul compito, spesso indecifrabile nella forma o nei contenuti. A volte i voti sono tutti uguali (il classico 25-25-25), in altri casi possono essere enormemente diversi tra loro.
Nell’era della trasparenza amministrativa è lecito avvertire un senso di ingiustizia dinanzi a giudizi che nulla hanno di intellegibile, magari adottati a fronte di un elaborato lineare e privo di correzioni, di una soluzione della traccia che ci appare tecnicamente corretta, o perfino sostanzialmente uguale a quella fornita da altri colleghi risultati ammessi.
A chi ci chiede se conviene o meno impugnare al Tar i risultati non possiamo dare una risposta univoca: dipende da molte circostanze e ogni procedimento è diverso dagli altri.
Sappiamo che il giudizio espresso dalla Commissione Esaminatrice in materia di esame da avvocato è governato dalla c.d. discrezionalità tecnica: l’amministrazione, nell’adozione della scelta, non è libera, ma deve svolgere una valutazione qualitativa in ordine alla preparazione scientifica del candidato che sia logica e coerente.
Da tempo, tuttavia, la giurisprudenza è andata attestandosi in favore delle sufficienza del voto numerico, il quale raccoglierebbe al proprio interno un giudizio sintetico e insindacabile dell’amministrazione. Tale impostazione prevede unicamente il limite tipico di validità dei giudizi discrezionali: l’eccesso di potere, inteso come illogicità o irragionevolezza del giudizio espresso, da valutarsi, sempre, senza poter sindacare nel merito il provvedimento, ovvero senza che il giudice possa sostituire il proprio ragionamento a quello operato dalla Commissione.
L’erroneità del giudizio deve quindi essere rilevabile in via immediata dal giudice: deve esservi un’incoerenza evidente, tanto evidente da non richiedere al giudice di compiere lui stesso una valutazione degli elaborati.
Sulla tematica è intervenuto, già dal 2012 il Legislatore che, nel ridisciplinare la professione forense, ha anche integralmente riformato la materia dell’esame da avvocato: il nuovo art. 46, quinto comma, l. 31 dicembre 2012, n. 247 supera infatti definitivamente l’idea di sufficienza del voto numerico e richiede che su ciascun elaborato siano annotate le osservazioni positive o negative della Commissione, le quali vanno a costituire la motivazione del giudizio finale.
La nuova disciplina è tuttavia destinata ad entrare in vigore solo dalla prossima sessione d’esame, essendo intervenuta solo a febbraio 2016 la necessaria disciplina applicativa di rango regolamentare.
In questi ultimi quattro anni, tuttavia, è andato formandosi nella giurisprudenza dei Tar, un indirizzo favorevole all’applicazione immediata della disciplina relativa alle modalità di correzione, la quale è stata ritenuta attuativa dei principi costituzionali di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa. Sulla base di tale orientamento hanno trovato accoglimento le istanze di alcuni candidati che lamentavano innanzi al Tar la scarsa trasparenza dei giudizi d’esame.
Tale indirizzo non ha tuttavia incontrato il favore del Consiglio di Stato, il quale, in sede di appello, ha ribadito nella sostanza la sufficienza del voto numerico fino all’entrata in vigore della nuova disciplina.
Anche per quest’ultima sessione d’esame, l’illogicità manifesta del giudizio rimane il solo parametro sulla base del quale è possibile contestare il giudizio d’esame.
Dunque, tornando alla domanda iniziale “si può impugnare il risultato dell’esame da avvocato?” è chiaro come in tale ambito sia di estrema complessità per l’avvocato – ancor più di quanto già non sia in circostanze normali – stabilire se e in quali casi l’impugnazione costituisca una via percorribile per il proprio assistito.
In questa delicata ponderazione è importante che alla base della scelta di impugnare gli esiti vi siano la piena coscienza dell’assistito della delicatezza del procedimento che si accinge ad affrontare e una valutazione – svolta con il supporto del proprio legale – il più imparziale ed oggettiva possibile della correttezza tecnica degli elaborati, della loro presentazione in una forma corretta, della presenza di errori giuridici o sintattici.
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