E’ stata definita rivoluzionaria la sentenza del Tribunale di Frosinone che ha annullato una sanzione di molte migliaia di euro nei confronti di una società che gestisce siti internet ove sono resi disponibili link per visualizzare film in streaming.
Al fine di comprendere gli aspetti di questa sentenza che ha suscitato stupore in molti esperti del settore, è opportuno fare una premessa sull’articolo 171 ter comma 2 lettera a-bis della L. 633/1941. Tale disposizione subordina la punibilità del soggetto agente alla comunicazione al pubblico a fini di lucro di un’opera protetta dal diritto d’autore, o di parte di essa, attuata mediante la sua diffusione in un sistema di reti telematiche, attraverso connessioni di qualsiasi genere.
La questione che ha costituito il nocciolo della decisione è il concetto di “fine di lucro”. Tale locuzione, prevista dall’articolo suddetto riveste un ruolo centrale nella fattispecie penale in esame, poiché le condotte previste dalla norma sono sanzionate solo se, dal punto di vista soggettivo, sussiste il dolo specifico, il cui fine deve sostanziarsi nello scopo di lucro.
L’analisi di tale elemento non è un’assoluta novità, la giurisprudenza già in passato aveva tentato di delineare gli esatti confini della finalità lucrativa giungendo ad affermare che lo scopo di lucro deve intendersi come il perseguimento di un guadagno economicamente apprezzabile derivante da uno scambio che è idoneo a produrre tale vantaggio economico. Di conseguenza, non si può a priori considerare esistente lo scopo di lucro quando la condotta posta in essere produce solo un vantaggio generico o un risparmio di spesa derivante dall’uso di copie non autorizzate.
Proprio in virtù di queste considerazioni il giudice del frosinate non ha riconosciuto, a differenza di quanto è avvenuto sino ad oggi, l’applicazione automatica della multa nel caso in cui una società gestisca un sito ove è possibile reperire link di film di streaming. Egli ha, infatti, statuito che tale attività non costituisce automatica violazione delle norme a tutela del diritto d’autore. Anzi, l’organo giudicante si spinge oltre tale affermazione sostenendo che neanche la presenza di banner pubblicitari sia idonea ad accertare di default l’esistenza del fine di lucro.
Di conseguenza, per poter considerare il sito illegittimo e quindi condannare il gestore dello stesso, è necessario che si dimostri concretamente in cosa si sostanzia il danno per chi detiene i diritti di copyright sulle opere che sono richiamate tramite link dal sito incriminato. Inoltre, si dovrà provare che dalla messa a disposizione di una specifica opera protetta dal diritto d’autore ne derivi un guadagno economico apprezzabile per chi condivide e che questo sia stato il fine che ha indotto tale soggetto a porre in essere la condotta in esame.
Ove non si riesca a quantificare tale danno non sarà possibile considerare dimostrata l’esistenza del fine di lucro e l’attività di condivisione di file protetti dal diritto d’autore dovrà essere qualificata come un mero vantaggio di spesa, non rilevante penalmente ai sensi dell’articolo 171-ter della L. 633/1941.
Alla luce di tali rivoluzionarie considerazioni e delle evidenti implicazioni che ne deriverebbero nel mondo del file sharing, se la sentenza venisse confermata dalla prassi e nei successivi (eventuali) gradi giudizio, sarebbe opportuno domandarsi: “è cominciata una nuova era per la tutela del diritto d’autore nel mondo della condivisione online?”.
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