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Data Aggiornamento: Maggio 2023

La responsabilità professionale dell’avvocato: novità giurisprudenziali

Abbiamo già affrontato in altri articoli pubblicati sul sito le problematiche relative alla responsabilità professionale dei professionisti in genere e degli avvocati in particolare (cfr. https://www.studiosalata.eu/responsabilita-avvocato-nei-rapporti-con-assistito/; https://www.studiosalata.eu/assistenza-privati/responsabilita-professionale/.)

Il presente contributo tende a fornire un aggiornamento in ordine alla posizione della giurisprudenza in materia, mediante l’indicazione di alcune recenti sentenze che consentono di delineare con precisione i confini entro i quali la giurisprudenza riconosce e/o esclude la responsabilità del professionista.

Si segnala, per la sua peculiarità, l’ordinanza n. 333030 del 9.11.2022 con la quale la Corte di Cassazione ha statuito che “Deve escludersi l’ipotesi di responsabilità professionale per l’avvocato che erroneamente omette di eccepire una nullità comunque rilevabile d’ufficio sulla base del materiale processuale già acquisito e dal quale il giudice non può prescindere (nella specie, relativa ad un licenziamento disciplinare, dall’esame della lettera di licenziamento, riprodotta dalle parti in ricorso e in controricorso, emergeva chiaramente che la contestazione del fatto fosse stata contestuale al licenziamento, sicché era evidente che risultava, dai documenti di causa, che non fosse stato rispettato l’iter di cui all’art. 7 l. n. 300 del 1970. Trattandosi di un fatto già acquisito al processo, ben era possibile – ed anzi doveroso – il rilievo officioso, da parte del giudice di appello, dell’esistenza di una causa di nullità diversa da quella allegata, cosicché del tutto correttamente il giudice di primo grado e successivamente la Corte d’appello hanno ritenuto che, non solo in grado di appello, ma anche con il ricorso per cassazione, essendo qualsivoglia nullità negoziale rilevabile in ogni stato e grado del processo, potesse essere dedotta la nullità per difetto di forma, benché nell’atto di impugnazione del licenziamento predisposto dall’avvocato tale eccezione non fosse stata formulata).”

Secondo la Corte, al fine di delimitare la configurazione della diligenza professionale richiesta, questa deve essere anzitutto parametrata al principio generale di cui secondo comma dell’articolo 1176 cod. civ. che, richiamando il concetto di “diligenza professionale media esigibile”, sancisce che questa debba essere necessariamente valutata tenuto conto della natura dell’attività che deve essere esercitata nel caso concreto.

In particolare, per quanto riguarda l’avvocato, a fondamento della sua responsabilità, vi è il contratto che lo lega al cliente, sulla base del quale il professionista si impegna a prestare un’“opera professionale”.

Trattandosi di un’obbligazione di mezzi, il professionista è chiamato a rispondere di eventuali omissioni da cui derivano danni, ma solo entro un certo limite.

Ed invero, come specificato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 6967 del 27 marzo 2006 (sentenza cardine in materia) una richiesta di risarcimento trova giustificazione allorquando ‘‘sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per eventuali vizi di motivazione’’.

L’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidatosi esclude ogni forma di automatismo nell’accertamento della responsabilità per colpa professionale, non discendendo, questa, da qualsiasi specie di inadempimento ma potendosi in concreto configurare soltanto nel caso in cui si riveli in grado di incidere sull’esito finale della controversia, in ossequio al criterio generale probabilistico del “più probabile che non”.

In materia si segnala l’ordinanza del 12 marzo 2021 n. 7064 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa.

Quindi l’obbligo del risarcimento a favore del cliente sorge solo se è stato procurato a questi un concreto pregiudizio.

Sarà pertanto il cliente a dover provare sia il difetto di diligenza del professionista nell’espletamento del mandato professionale affidatogli sia la circostanza che, in difetto, si sarebbe certamente verificato un esito diverso della lite e a lui più favorevole.

In definitiva, il cliente deve fornire la prova non solo del danno subito che vuole vedersi accertato e risarcito, ma anche del nesso causale tra il comportamento professionale adottato dal professionista ed il concreto pregiudizio patito.

In materia, ad esempio, la Corte di cassazione con l’ordinanza 33442 del 14 novembre 2022 ha statuito che “La responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, dovendosi altrimenti ritenere che tale responsabilità difetti”.

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