L’ art. 51 del R. D. n. 2537/1925 (Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto), stabilisce che “sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo”.
L’art. 52 specifica che “formano oggetto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad essa relative”.
Per quanto concerne la responsabilità è opportuno distinguere due ruoli che l’ingegnere può contrattualmente assumere:
In ordine all’ingegnere progettista la giurisprudenza ritiene pacificamente che lo stesso sia tenuto ad adempiere ad un’obbligazione di risultato.
La Cassazione, con la sentenza 1530 del 27 febbraio 1996, illuminante sul punto, ha statuito espressamente che “L’esecuzione di un progetto da parte di un ingegnere o di un architetto rientra nell’ambito delle obbligazioni (non di mezzi ma) di risultato e l’esistenza di difformità o vizi nell’opera eseguita dà luogo alla relativa garanzia da farsi valere, da parte del committente, nei termini (di decadenza e di prescrizione) previsti dall’art. 2226 cod. civ. Inoltre il committente convenuto per il pagamento può contrastare la pretesa del professionista adducendo l’esistenza dei vizi o delle difformità; ma tale contestazione concreta un’eccezione (in senso sostanziale) di inadempimento rimessa all’iniziativa ed alla disponibilità dell’interessato, che non può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
Tale principio è stato ribadito con l’Ordinanza del 31 maggio 2018, n. 13880 a mezzo della quale la Cassazione ha statuito che “L’architetto, l’ingegnere o il geometra, nell’espletamento dell’attività professionale consistente nell’obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, è debitore di un risultato, essendo il professionista tenuto alla prestazione di un progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico. Rientra nella prestazione dovuta dal tecnico incaricato della redazione di un progetto edilizio, in quanto attività strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, l’obbligo di assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica e di individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da garantire la preventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dei lavori richiesti dal committente. Ne consegue che l’irrealizzabilità del progetto, per l’erroneità o l’inadeguatezza del progetto, anche per colpa lieve, conseguente alla difformità dell’opera ivi descritta alla normativa urbanistica ed edilizia in quel momento in vigore, costituisce inadempimento dell’incarico e consente al committente di rifiutare il pagamento del compenso, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 1460 del Cc, oppure, se lo stesso compenso sia stato già elargito, di chiedere la risoluzione del contratto a norma dell’articolo 1453 del Cc e domandare le conseguenti restituzioni”.
In questo senso, poiché l’obbligazione del professionista consiste nel redigere un progetto destinato all’esecuzione e, pertanto, realizzabile, il committente – in base al principio inadimplenti non est adimplendum – ha diritto di rifiutare il pagamento del compenso al professionista che abbia fornito un’opera irrealizzabile atteso che l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria ha per oggetto un risultato ben definito che è la sua realizzabilità.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 maggio 2020 n. 9189, ha specificato chiaramente che obbligo di diligenza dell’ingegnere progettista è ancora più rigoroso, essendo tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.
Le obbligazioni professionali dell’ingegnere progettista sono dunque caratterizzate dalla prestazione di attività particolarmente qualificata, da parte di soggetto dotato di specifica abilita tecnica, in cui il committente fa affidamento nel conferirgli l’incarico, al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato.
A fronte della considerazione che sul progettista grava un’obbligazione di risultato, si applica l’art. 2226 cod. civ. a norma del quale il creditore deve denunciare i vizi dell’opera entro otto giorni ed agire nel termine di prescrizione di un anno.
Con la sentenza 12820/1992 la Cassazione ha statuito che “Mentre nella progettazione di un edificio è ravvisabile una obbligazione di risultato, risolvendosi l’attività del professionista nel mettere a disposizione del proprio cliente un determinato bene avente un’autonoma utilità, nella direzione dei lavori di esecuzione dell’opera progettata va ravvisata invece un’obbligazione di mezzi concretandosi essa in un complesso di attività strumentali rispetto all’obbiettivo finale della realizzazione dell’edificio a regola d’arte in conformità del progetto. Ne consegue che i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 2226 cod. civ. sono applicabili al contratto avente per oggetto la redazione del progetto e non a quello con cui viene conferito l’incarico della direzione dei lavori, neppure quando le due attività siano svolte dallo stesso professionista, in quanto nella direzione dei lavori manca il compimento dell'”opus” dalla cui consegna soltanto possono farsi decorrere i due suddetti termini”.
La responsabilità dell’ingegnere progettista non può essere desunta automaticamente dal mero inadempimento alla propria obbligazione, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal creditore, ma deve comunque essere valutata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale.
L’inadempimento è conseguenza della prestazione negligente, ovvero non improntata alla dovuta diligenza da parte del professionista ai sensi dell’articolo 1176 cod. civ., comma 2, adeguata alla natura dell’attività esercitata e alle circostanze concrete del caso. I limiti di tale responsabilità sono quelli generali in tema di responsabilità contrattuale, presupponendo questa l’esistenza della colpa lieve del debitore, e cioè il difetto dell’ordinaria diligenza.
In presenza di un’obbligazione di risultato, l’onere della prova è ripartito tra le parti nel senso che il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, non essendo tenuto a provare la colpa del professionista e la relativa gravità. Per contro, è al debitore convenuto (ingegnere) che incombe l’onere di dare la prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento.
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