Si definisce procacciatore d’affari colui che collabora con l’imprenditore in via occasionale (senza un vicolo di stabilità ed in maniera episodica) al fine di raccogliere proposte di contratto o ordinazioni presso terzi, trasmettendole poi all’imprenditore preponente da cui ha ricevuto l’incarico di procurarle.
Pensiamo ad un’azienda che voglia valutare e scoprire un nuovo mercato: in tal caso, colui che conosce bene quel mercato, il procacciatore appunto, informato del fatto che una nuova impresa possa essere interessata a concludere affari, potrà raccogliere proposte d’ordine da sottoporle traendone profitto.
Altro elemento utile a qualificare il procacciatore d’affari, sebbene non sempre presente, consiste nel fatto che l’attività da esso svolta per conto di un terzo può andare oltre l’attività negoziale pura e semplice finalizzata a procurare ordini di produzione, comprendendo anche quella di realizzazione tecnica del prodotto. Si tratta, quindi, di una forma di collaborazione autonoma (il corrispettivo del procacciatore è, infatti, calcolato su base provvigionale ed il pagamento avviene a seguito di emissione di fattura) comprendente un’attività complessa mista ovvero sia commerciale che tecnica.
Il procacciatore d’affari non deve, inoltre, essere iscritto ad alcun albo professionale.
Che differenza c’è tra procacciatore d’affari e agente?
Come si è detto, il rapporto contrattuale tra procacciatore d’affari e preponente consiste nell’attività di un soggetto, il procacciatore, che raccoglie le ordinazioni dei clienti senza un vincolo di stabilità e saltuariamente, trasmettendole all’imprenditore.
Il rapporto d’agenzia si caratterizza, invece, per gli elementi di continuità e stabilità dell’attività dell’agente nel promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente, all’interno di una zona determinata.
La prestazione dell’agente è stabile, stabilità a cui si ricollega il suo obbligo di svolgere l’attività di promozione degli ordini dei clienti, la prestazione del procacciatore è occasionale, nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.
L’agente riceve l’incarico di promuovere le vendite, avendo ricevuto specifico incarico in tal senso dal preponente, il procacciatore propone, invece, la conclusione di affari al preponente.
La differenza è, quindi, nella causa e origine del rapporto.
Il contratto d’agenzia presenta quali elementi distintivi la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione dei contratti per conto del preponente in una determinata zona (il più delle volte corrispondente ad una sfera di carattere territoriale), realizzando con quest’ultimo una collaborazione professionale autonoma, non episodica, con risultato a proprio rischio e con obbligo di osservare, oltre alle norme di correttezza, lealtà e buona fede, le istruzioni impartite dallo stesso preponente.
Nella prassi, tuttavia, non è sempre facile distinguere le due figure, potendo il procacciatore presentare caratteri tipici dell’agente. Qualificare il rapporto come procacciamento d’affari o come agenzia ha, però, un impatto pratico importante: al primo, infatti, vengono riconosciute solo le provvigioni, in applicazione analogica delle norme di legge che disciplinano il rapporto di agenzia, ma non anche quelle voci di legge o di accordo economico collettivo che presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto che disciplinano, invece, il contratto d’agenzia, quale l’indennità di mancato preavviso o l’indennità suppletiva di clientela e quella di cessazione del rapporto.
Avendo il procacciamento d’affari carattere atipico e non strutturato, per la disciplina del rapporto si applicano in via analogica le norme sull’agenzia, limitatamente a quelle che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto.
La norma di cui all’art. 1742 c.c. identifica chiaramente la nozione di agenzia “col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”, prevedendo la forma scritta per il relativo contratto.
L’agente può essere con rappresentanza, il c.d. rappresentante, che conclude i contratti direttamente, seppur in nome e per conto del preponente; e senza rappresentanza, che non conclude i contratti ma si limita a mettere in relazione, al fine di far concludere un contratto, il terzo (acquirente) con il preponente. Non chiarissimo è quando nasce il diritto dell’agente a vantare la propria provvigione. L’art. 1748 c.c. prevede che “salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”.
La prassi prevede tuttavia che le parti concordino, nel contratto, che la provvigione spetti all’agente nel momento dell’effettivo pagamento del prezzo da parte del terzo al preponente.
L’agente assume l’impegno, nei confronti del preponente, di far concludere affari con continuità, nell’ambito della propria zona di competenza. Il fatto che operi su base continuativa, all’interno della zona a lui assegnata e non come il mediatore con riferimento ad un singolo affare, lo rende non accomunabile con quest’ultimo. L’agente è stato spesso qualificato dalla Giurisprudenza come un lavoratore (autonomo) para-subordinato, avvicinando in qualche modo il rapporto contrattuale con l’agente al rapporto di lavoro, tanto che alle controversie tra agente e preponente si applica il rito del lavoro. Tale rischio diventa più evidente, pensando ai casi non rari in cui all’agente sia fornito materiale lavorativo (biglietti da visita, telefono con annesso contratto di utenza, scrivania) dal preponente. In tutti questi casi il rischio di riqualificazione del rapporto è certamente attuale.
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