Sono valide anche in Italia le nozze celebrate via Skype tra un’italiana e uno straniero se per l’ordinamento del Paese di quest’ultimo la modalità telematica costituisce uno strumento idoneo per consentire ai nubendi di esprimere il loro consenso.
La prima sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 15343/2016 ha rigettato il ricorso del Viminale avverso la decisione di merito che aveva dichiarato legittime le nozze contratte telematicamente tra una donna italiana e un uomo pakistano.
Nel caso di specie i due cittadini contraevano matrimonio senza la presenza fisica dei nubendi e grazie all’ausilio di Skype.
La vicenda era nata dal rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile alla trascrizione dell’atto, poiché la modalità di celebrazione, “in via telefonica o telematica” era da ritenersi contraria all’ordine pubblico, sul presupposto che costituisce principio fondamentale dell’ordinamento italiano, derogabile solo in casi del tutto eccezionali, “la contestuale presenza dei nubendi dinanzi a colui che officia il matrimonio, anche al fine di assicurare la loro libertà nell’esprimere la volontà di sposarsi”.
Nel contraddittorio con il ministero dell’interno e il comune, sia il tribunale di Bologna sia la Corte d’appello ritenevano il matrimonio validamente celebrato secondo le modalità e nelle forme previste dalla legge pakistana e, quindi, anche per l’ordinamento italiano, indipendentemente dalla modalità con la quale era stato celebrato, e in ogni caso alla presenza dello sposo e dei suoi testimoni.
Pertanto, il rifiuto di trascriverlo da parte dell’ufficiale di stato civile era illegittimo, non sussistendo alcuna violazione dell’ordine pubblico internazionale, “atteso che la contestuale presenza dei nubendi dinanzi all’autorità officiante, a norma dell’art. 107 c.c., non costituisce un principio irrinunciabile per la stessa legge italiana”.
La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, pone l’attenzione su altre norme della medesima legge, ovvero l’articolo 28, relativo alla forma del matrimonio, disponendo che “Il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento”, e sottolineando che il caso in esame non viola in nessun modo l’ordine pubblico interno.
La predetta decisione è di fondamentale importanza proprio perché altrimenti, a detta della stessa Corte, “ravvisando l’ordine pubblico nelle norme, seppure inderogabili, presenti nell’ordinamento interno, sarebbero cancellate le diversità tra i sistemi giuridici e rese inutili le regole del diritto internazionale privato. Il giudizio di compatibilità con l’ordine pubblico dev’essere riferito, invece, al nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento che non sarebbe consentito nemmeno al legislatore ordinario interno di modificare o alterare, ostandovi principi costituzionali inderogabili”.
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