In precedenti articoli pubblicati sul sito, ai quali rimandiamo:
abbiamo analizzato le problematiche relative alla responsabilità professionale dell’Avvocato nell’assolvimento del mandato conferito dagli assistiti.
Con il presente scritto poniamo l’attenzione sulla sentenza n. 2660 del 31.03.2023 del Tribunale di Milano che puntualizza i profili di responsabilità nell’esercizio del mandato da parte dell’Avvocato, ripercorrendo l’oramai consolidato giurisprudenziale in materia.
Nel caso definito dal Tribunale di Milano con la sentenza indicata gli attori avevano convenuto in giudizio il loro legale eccependo la scarsa diligenza del professionista e ascrivendo all’Avvocato convenuto una serie di errori difensivi che avevano inciso negativamente sull’esito del giudizio.
La sentenza merita un’attenta analisi in quanto, richiamando la giurisprudenza in materia, chiarisce anche la problematica relativa all’onere probatorio nei giudizi di responsabilità promossi dal Cliente nei confronti dell’Avvocato.
Il Tribunale ribadisce che le obbligazioni relative all’esercizio dell’attività professionale dell’Avvocato devono qualificarsi come obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo il mandato, si impegna a prestare la propria opera nei confronti del proprio assistito per raggiungere il risultato desiderato, ma non si obbliga a conseguire il risultato.
Il Tribunale di Milano, precisa che ai fini del giudizio di responsabilità rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per l’assistito, ma le modalità concrete con le quali l’Avvocato, nell’adempimento dell’incarico, ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere principale di tutelare le ragioni del Cliente e, dall’altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui questi è tenuto (cfr. Cass. Civ. n. 18612/13; Cass. Civ. 8863/11; Cass. Civ. 6967/06).
La Giurisprudenza ha più volte chiarito che l’Avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall’art. 1176 secondo comma 2 cod. civ. che stabilisce che: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Dunque, al professionista si richiede di adottare la media attenzione e preparazione, di agire con perizia e impiegando strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salvo il disposto dell’art. 2236 cod. civ., che sancisce che nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà “il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di solo o colpa grave”.
Sul punto il Tribunale di Milano richiama l’insegnamento costante della Corte di Cassazione che, con statuizione oramai consolidata, ha precisato che “la responsabilità professionale dell’avvocato deriva dall’obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti; a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole” (Cass. Civ, 24544/2009).
Secondo l’insegnamento della Corte, “l’avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (cfr. Cass. Civ., 11 agosto 2005, n. 16846)”.
Trattasi, dunque, di una responsabilità per colpa misurata in base alla natura della prestazione dell’Avvocato, che risulta delimitata ai casi di dolo o colpa grave solamente quando la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (ex art. 2236 cod. civ.) o la scelta tra soluzioni comunque discutibili.
Come generalmente ammettono dottrina e giurisprudenza, il professionista può liberarsi dalla ascrizione di ogni responsabilità se ed in quanto dimostri l’impossibilità della perfetta esecuzione della prestazione (ex art. 1218 cod. civ.) o di aver agito con la diligenza richiesta.
In ordine alla ripartizione dell’onere probatorio, è oramai principio pacifico in giurisprudenza, e la sentenza qui analizzata si inserisce in questo solco giurisprudenziale, che l’assistito che sostiene di aver subito un danno a causa dell’inesatto adempimento del mandato professionale del suo Avvocato, ha l’onere di provare:
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