Il fenomeno dell’interposizione nel possesso del reddito, sia fittizia che reale, analizzata alla luce della finalità antielusiva, ha costituito oggetto di un ampio dibattito in giurisprudenza.
Tale fenomeno si realizza quando un soggetto, titolare di redditi da assoggettare a tassazione, trasferisce formalmente tali redditi ad un altro soggetto, con l’intento di fare apparire quest’ultimo come l’effettivo titolare degli stessi agli occhi dell’Amministrazione Finanziaria.
In tali ipotesi si parla propriamente di interposizione fittizia in ambito tributario.
Se l’interposizione fittizia viene realizzata in ambito fiscale, l’ordinamento tributario, attraverso l’art. 37 DPR 600/1973, attribuisce all’Agenzia delle Entrate la possibilità di imputare agli effettivi contribuenti i redditi di cui appaiono titolari invece altri soggetti.
Il terzo comma del richiamato articolo stabilisce che: “In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.
L’Amministrazione Finanziaria, in sede di rettifica e accertamento d’ufficio delle dichiarazioni dei redditi, può dunque ricondurre i redditi imputati al contribuente apparente in capo all’effettivo contribuente titolare di tali redditi.
La giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. nn. 27982/2020, Cass. 26947/2020 e 2083/2021) ha chiarito che la pretesa tributaria dell’Amministrazione erariale trova fondamento nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, norma che regola la disciplina antielusiva dell’interposizione prevedendo l’imputabilità al contribuente dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, sempre che sia dimostrato “anche sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”
Va evidenziato che, con riferimento alla disciplina di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’interposizione non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale proprio dell’operazione economica sostanziale programmata e realizzata (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21952 del 28/10/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25671 del 15/11/2013,).
Si è peraltro specificato che, proprio in quanto non presuppone un comportamento fraudolento, il fenomeno della simulazione relativa non esaurisce l’ambito di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17128 del 28/06/2018,) nelle quali “difetta del tutto l’elemento caratteristico dei negozi simulati costituito dalla divergenza tra la dichiarazione esterna e l’effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle parti (dissimulato)” (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza 05/12/2018, n. 31452).
Sul punto è intervenuta l’interessante ordinanza 5276 del 17 febbraio 2022, con cui la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate statuendo che l’Amministrazione Finanziaria può imputare al contribuente persona fisica i maggiori redditi accertati in capo alla società senza la necessità di distinguere fra interposizione fittizia o reale, quando sia dimostrato anche per presunzioni che egli sia l’effettivo titolare della società e ne abbia gestito uti dominus le relative risorse finanziarie.
Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ha infatti statuito che l’elemento di fatto della percezione del reddito sui conti correnti dell’interponente non è elemento costitutivo dell’interposizione che deve addurre l’amministrazione finanziaria, la quale deve solo provare che il contribuente è l’effettivo possessore del reddito anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Se in base a questi elementi l’Amministrazione Finanziaria dimostra che il contribuente ne è l’effettivo possessore per interposta persona avrà assolto all’onere a suo carico, ossia accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito “per interposta persona”.
Sarà dunque onere del al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione o della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (cfr. Cass. 19878/2021, 17743/2021, 27625/2018).
Nel caso in esame l’Amministrazione finanziaria ha tratto la presunzione del possesso da parte del contribuente dei redditi di impresa delle cooperative quali soggetti interposti, quale conclusione logica, secondo canoni di probabilità, dalla circostanza che il contribuente si fosse ingerito uti dominus nella gestione delle società cooperative contribuenti.
Nel caso specifico il contribuente aveva di fatto preso il posto degli amministratori e aveva auto la possibilità di utilizzare le risorse delle stesse società contribuenti, avendo libero accesso ai conti.
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