Con la sentenza n. 1127, pubblicata il 5 settembre 2016, la Sezione prima del Tribunale amministrativo per la Regione Piemonte ha confermato un recente e importante orientamento in tema di partecipazione politica da parte degli appartenenti alle Forze militari (v. TAR Umbria, n. 409/2011; TAR Veneto, n. 1480/2012).
In breve i fatti: un Maresciallo dei Carabinieri, in servizio attivo, comunicava ai propri superiori di aver assunto, in seno al PSD (Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa) la carica di Segretario regionale, e successivamente di essersi iscritto anche ad altro partito politico (nella specie la “Lega Nord– Bossi”).
Il Comando, dapprima, ammoniva formalmente l’interessato a recedere dalle cariche politiche assunte, e in un secondo momento gli infliggeva la sanzione disciplinare di giorni 5 di consegna di rigore, ritenendo che il Maresciallo fosse incorso nella “violazione dei doveri attinenti al grado ed alle funzioni del proprio stato, nonché del principio di estraneità delle FF.AA. alle competizioni politiche”.
Quest’ultimo impugnava i suddetti provvedimenti, censurandone l’illegittimità sotto diversi profili; in particolare, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 6, co. 2, l. n. 382 del 1978 (ora, art. 1465 del d.lgs. n. 66 del 2010), dal momento che i divieti ivi indicati non sarebbero suscettibili di interpretazioni estensive; inoltre risulterebbero violati anche gli artt. 49 Cost. e 6, co. 3, 4 e 5, l. n. 382 del 1978, atteso che l’interpretazione di questi fornita dall’Arma finirebbe per escludere qualsiasi forma di partecipazione politica dei cittadini militari.
Il TAR Piemonte, sulla base di una puntuale ricostruzione del quadro normativo costituzionale e legislativo, ha accolto il ricorso.
Più precisamente, il Collegio, partendo dalla riserva di legge di cui all’art. 98, co. 3, Cost. (ai sensi del quale, “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”), ha rilevato come “il legislatore non ha mai stabilito per i militari, in modo duraturo, un esplicito divieto di iscrizione ai partiti politici”.
Siffatto divieto era previsto, infatti, dall’art. 114, l.n. 121/1981, solo in via transitoria e, dopo il 1990, non è stato più rinnovato; nemmeno nel nuovo codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66/2010) ve n’è traccia, limitandosi, all’art. 1483, co. 2, a ribadire la precedente disciplina, secondo la quale “Ai militari che si trovino nelle condizioni di cui al comma 2 dell’articolo 1350, è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative”.
Secondo il TAR Piemonte, dunque, solo un divieto ‘specifico e perentorio’ – quale quello previsto dal vecchio art. 114 – sarebbe stato idoneo “nel vigente quadro costituzionale, ad introdurre quella limitazione che, in quanto eccezione ad un diritto fondamentale dei cittadini (quello di cui all’art. 49 Cost.), e pur se frutto di un bilanciamento tra contrapposte esigenze costituzionali, è non a caso assistita dalla garanzia della riserva di legge (art. 98, comma 3, Cost.)”.
Non solo. Ad ulteriore chiarimento dell’attuale quadro normativo, il Giudice precisa, peraltro, che è solo al ricorrere delle circostanze di cui all’art. 1350, co. 2, d.lgs. n. 66/2010 (vale a dire, per quei militari che “a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l’uniforme; d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”), che scatta il divieto per il militare di partecipare a manifestazioni politiche o di svolgere propaganda politica; una serie di divieti, si badi, riguardanti “unicamente i comportamenti descritti dall’art. 1483, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, nei quali non rientra la mera iscrizione in partiti politici o l’assunzione di una carica direttiva in seno ad essi”.
La pronuncia in rassegna è, dunque, molto importante poiché contribuisce a rafforzare un’interpretazione ‘ragionata’ del ‘principio di estraneità’ delle Forze Armate rispetto alle competizioni politiche, impendendo una sua applicazione “a tutti i militari sulla base della mera condizione soggettiva di essere un appartenente alle Forze armate”.
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