Abbiamo avuto modo di parlare in più occasioni, sul nostro sito, della figura degli influencers, toccando diversi spunti che vanno dai profili contrattuali a quelli giuslavoristici a quelli fiscali.
Oggi, invece, vogliamo focalizzare la nostra attenzione su un aspetto diverso, e sul quale il dibattito è più che mai attuale: la posizione previdenziale e contributiva degli influencers. Il 4 marzo 2024 il Tribunale di Roma ha pubblicato una sentenza destinata a rappresentare un precedente: si tratta della pronuncia n. 2615/2024, in tema di “influencers”.
Nel linguaggio comune ormai acquisito, richiamato dalla ormai nota sentenza del Tribunale di Roma, 2615/2024, “l’influencer è colui che, avendo un ampio seguito di pubblico, è in grado di raggiungere con i propri messaggi un numero potenzialmente sempre più alto di individui, creando i presupposti per la diffusione su larga scala dei suoi messaggi, principalmente attraverso il passaparola” (…).
In altre parole, gli influencers esistono in quanto esiste un pubblico interessato ai temi ed agli argomenti dei quali si occupano, attraverso la fruizione dei relativi contenuti diffusi attraverso i diversi canali social (Youtube, Instagram, Tik Tok, Linkedin, Facebook, Twitter etc.)
Una volta definito questo perimetro di massima, la domanda successiva è: l’influencer può essere considerato come un agente di commercio?
Il quesito, la cui portata è già stata trattata nei nostri precedenti articoli sotto il profilo contrattuale e fiscale, ha una importante ricaduta sul profilo contributivo. Vediamo come.
Gli agenti di commercio, che svolgono attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, sono tenuti a versare i contributi ad Enasarco – Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio.
Allo stato, non sussiste il medesimo obbligo per gli influencers.
Si tratta di una distinzione corretta, oppure l’assetto attuale è destinato ad essere rivisto?
Sul punto, è attualmente in corso un acceso dibattito che vede, da un lato, la posizione di Fondazione Enasarco e, dall’altro, quella di Assoinfluencer.
La prima, avallata dagli agenti di commercio, vorrebbe vedere inclusa tra i contributori anche la platea degli influencers, sulla base di un’assimilazione alle attività dei propri iscritti.
La seconda, che sostiene l’attuale distinzione, sostiene al contrario che “secondo un costante orientamento della Corte di Cassazione, l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente”, “deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente”, mentre “influencer e creator in generale si rivolgono ad un pubblico indiscriminato e senza confini sul Web, di conseguenza non sussiste quell’interazione caratterizzante e fondante il rapporto agente/acquirente”.
Il tutto, con la conseguenza che richiedere agli influencers un obbligo contributivo analogo a quello degli agenti di commercio rappresenterebbe una forzatura normativa, oltre a dare una fotografia “lesiva degli interessi e dell’immagine della categoria che rappresentiamo”.
Alla luce degli elementi sopra accennati, sarà senz’altro necessario un intervento atto a definire la posizione dell’influencer (così come quella dei content creators e delle altre figure attualmente non disciplinate) e ad individuare gli elementi distintivi e quelli di analogia rispetto alla figura degli agenti di commercio, al fine dell’inserimento o meno di tali figure nella platea dei contributori.
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