È frequente, nel mondo dei professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro ecc..), scegliere di strutturare la propria attività attraverso un’organizzazione di risorse e di mezzi collettiva, ovvero tale da comportare la condivisione degli strumenti necessari per lo svolgimento della professione e, in particolare, degli spazi in cui si opera (studi professionali).
Nella prassi, queste forme d’impresa sono organizzate in modo tale che i beni ed i servizi condivisi ed utilizzati da più professionisti sono riconducibili ad uno soltanto di essi, che ne sopporta il costo complessivo per poi addebitarlo proporzionalmente ai colleghi.
È esattamente ciò che accade per quanto concerne la suddivisione dei canoni di locazione di un immobile adibito a studio professionale: in tali ipotesi il professionista intestatario del canone di locazione è l’unico soggetto tenuto al versamento dei canoni mensili tuttavia, tale onere, viene successivamente suddiviso tra i professionisti che operano nel medesimo ambiente sfruttando le medesime risorse, i quali saranno tenuti a corrispondere la quota di canone pattuita.
Trattandosi di una prassi particolarmente diffusa, quella del riaddebito delle spese tra professionisti è una materia sulla quale i principali organismi fiscali e di settore hanno avuto modo di pronunciarsi, delineando una disciplina specifica.
Generalmente il professionista intestatario del contratto di locazione riaddebita le spese sostenute ai propri colleghi dietro presentazione di un’apposita fattura.
Ebbene una delle questioni più controverse connesse al riaddebito delle spese tra professionisti concerne proprio la composizione di tale fattura, con specifico riguardo alla ritenuta d’acconto ed alla cassa professionale.
Tra gli indici di fatturazione vengano spesso inserite anche le voci relative alla ritenuta d’acconto ed alla cassa di previdenza professionale, entrambe calcolate su base percentuale.
In tal modo, il costo relativo alla singola quota di spesa viene gravato di ulteriori oneri come quello della ritenuta d’acconto e della cassa che, di fatto, non sono in alcun modo dovuti. L’unica conseguenza di appesantire ulteriormente le spese del professionista.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Circolare n. 58 del 18 giugno del 2001, dalla quale si evince che la fattura di riaddebito delle spese relative alla suddivisione degli importi versati a titolo di canone di locazione non è soggetta a ritenuta d’acconto, né all’ulteriore aggravio del contributo alla cassa del settore professionale di appartenenza.
Tale principio è stato poi oggetto di un successivo intervento dell’Agenzia delle Entrate che, con Circolare n. 38 del 23 giugno 2010, ha sostanzialmente ribadito il suddetto concetto, sottolineando che tali tipologie di riaddebito non costituiscono componenti positive del reddito professionale, bensì delle riduzioni di costo, poiché la quota riaddebitata rappresenta un costo non inerente l’attività del professionista e, in quanto tale, non va dichiarata a tale titolo.
Nel caso in cui un avvocato sia intestatario di un contratto di locazione e sublochi delle stanze a terzi, allora questi non saranno tenuti a corrispondere il contributo integrativo del 4%. La fattura avente ad oggetto il riaddebito dei costi di struttura non dovrà nemmeno includere la ritenuta d’acconto. Ove ciò sia accaduto, il sub conduttore ha diritto ad un rimborso ed il conduttore dovrà probabilmente rettificare le proprie dichiarazioni alla Cassa Forense e all’Agenzia delle Entrate.
Nonostante il delineato quadro di riferimento, quella di inserire le predette voci all’interno delle fatture aventi ad oggetto il riaddebito delle spese tra professionisti è un’attività dalla quale è ancora necessario difendersi. Le percentuali di cui si parla possono sembrare molto ridotte, ma se calcolate su base annua, specialmente in costanza di rapporti pluriennali, potrebbero dare diritto ad importanti rimborsi per i subconduttori.
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