L’Art. 30 della Costituzione Italiana sancisce il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
L’Art. 147 del Codice Civile insegna come il matrimonio imponga ad ambedue i genitori di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
La previsione di cui all’art. 337 ter del Codice Civile, secondo cui il figlio minore ha il diritto di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi i genitori, non cessa al sopraggiungere della maggiore età, ma perdura fino al momento in cui i figli non siano divenuti economicamente autosufficienti o non abbiano realizzato le loro aspirazioni.
E’ un principio consolidato quello secondo cui il diritto al mantenimento prescinde dall’esercizio della potestà genitoriale. Mentre infatti la potestà si estingue al raggiungimento della maggiore età dei figli, l’obbligo di mantenimento non ha un termine finale fissato per legge. La sua sussistenza resta affidata al buon senso dei genitori o alla discrezionalità di un giudice.
Mentre i genitori rimangono obbligati a provvedere ai bisogni del figlio, dopo la maggiore età non posso più intervenire sulle sue scelte.
L’obbligo di mantenimento ricomprende ogni spesa necessaria per il sostentamento, l’educazione e l’istruzione del figlio fin quando egli non abbia realizzato le proprie aspirazioni. Non è dunque possibile prevedere in astratto un termine finale, in quanto il raggiungimento dell’indipendenza economica varia caso per caso. In passato ci siamo già occupati dei limiti all’obbligo di mantenimento di figli maggiorenni.
Secondo la giurisprudenza, l’obbligo cessa quando il figlio raggiunge quello status di indipendenza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato, non rilevando all’uopo il tenore di vita finora condotto.
Il figlio ha infatti il diritto di essere posto in condizioni di terminare il ciclo di studi e di acquistare una propria professionalità nel campo lavorativo prescelto.
In assenza di una raggiunta indipendenza economica del figlio, il genitore può ritenersi liberato dall’obbligo di mantenimento solo quando il mancato inserimento nel mondo del lavoro sia causato da negligenza o comunque dipenda da fatto imputabile al figlio stesso per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l’esercizio di un’idonea attività lavorativa.
In proposito la Corte di Cassazione ha anche sostenuto che l’obbligo viene meno quando il figlio ha raggiunto un’età tale da far presumere la sua capacità di provvedere a sé stesso o quando ha ingiustamente rifiutato un’idonea attività lavorativa.
Il mantenimento del figlio maggiorenne è da escludersi, ove questi abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, dimostrando quindi il raggiungimento di un’adeguata capacità. Non rileva la sopravvenienza di circostanze ulteriori che, pur determinando l’effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento, i cui presupposti erano già venuti meno. Semmai potrebbe sorgere per il genitore un dovere alimentare, che si fonda peraltro su presupposti del tutto differenti.
E’ legittimo il diniego o la revoca di assegno di mantenimento al figlio maggiorenne che rifiuta ingiustificatamente occupazioni lucrative.
In passato ci siamo già occupati del mantenimento erogato dai nonni, dei suoi limiti e prerogative.
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