Con la sentenza in trattazione il Consiglio di Stato affronta nuovamente la tematica inerente i requisiti di validità delle ordinanze di demolizione.
La materia è disciplinata dall’art. 27 del D.P.R. 3 giugno 2001, n. 380, in virtù del quale l’amministrazione comunale è tenuta a vigilare sull’attività urbanistico-edilizia e, laddove venga a conoscenza dell’avvio di interventi edilizi non conformi alle disposizioni di legge o agli strumenti urbanistici, ordina dapprima la sospensione dei lavori in corso e, successivamente, la rimozione di quanto illegittimamente edificato.
Da sempre dibattuti sono i rapporti intercorrenti tra l’ordine di demolizione e le disposizioni generali in materia di procedimento amministrativo. In particolare, ci si è interrogati sull’applicabilità e sui limiti di operatività delle norme in materia di motivazione del provvedimento amministrativo e di comunicazione di avvio del procedimento, rispettivamente disciplinate dagli artt. 3 e 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241.
Per quanto riguarda l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento, conferma lo stabile indirizzo secondo cui l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, avendo natura sanzionatoria, sarebbe un atto dovuto, da emanarsi senza indugio e dunque senza necessità di inviare preventivamente all’interessato la rituale comunicazione di avvio del procedimento.
Sulla motivazione dell’ordine di demolizione, la decisione in commento chiarisce come, in linea generale, la difformità dell’opera rispetto al paradigma normativo, dando luogo ad un illecito c.d. permanente, sia di per sé sola idonea e sufficiente a dare conto della necessità di rimuovere l’abuso.
Tale principio sconta tuttavia un’eccezione di rilievo: ad avviso della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, è infatti fatta salva l’ipotesi in cui, a causa del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e del protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata nel titolare dell’abuso una posizione di affidamento.
In tali casi si afferma che l’interesse al ripristino della legalità, in presenza di abusi di modesta entità, non sarebbe da solo sufficiente a giustificare il sacrificio del titolare, essendo invece necessaria una motivazione pervasiva in ordine alla comparazione e alla ritenuta prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato alla conservazione del bene (si veda in termini Cons. St., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3847).
Con tale arresto il Consiglio di Stato sembra contrapporsi all’indirizzo maggioritario secondo il quale nella realizzazione di un manufatto contra legem non dovrebbe ravvisarsi, a prescindere dal decorso del tempo, nessun affidamento tutelabile, mancando a tale scopo il necessario presupposto dell’incolpevolezza dello stesso (si veda tra le altre Cons. Stato, Sez. VI, n. 2512 del 2015).
Stante l’odierna pronuncia del Consiglio di Stato, se può dunque per un verso escludersi la necessità di comunicare l’avvio del procedimento finalizzato all’emanazione dell’ordine di demolizione, continua a registrarsi una parziale incertezza in merito alla necessità o meno che il medesimo provvedimento sia accompagnato dalla motivazione ai sensi dell’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241.
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