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Data Aggiornamento: Novembre 2025

Danno da perdita del rapporto parentale: cos’è davvero

L’ordinanza n. 21760 del 29 luglio 2025 della Corte di Cassazione Civile costituisce un punto di riferimento fondamentale in materia di danno da perdita del rapporto parentale.

Il danno da perdita del rapporto parentale rappresenta una delle forme più gravi di danno non patrimoniale riconosciute dal nostro ordinamento.

Si intende con tale espressione il danno riconosciuto ai congiunti di soggetto deceduto per fatto illecito (sinistro stradale, malpractice sanitaria) e identifica lo sconvolgimento esistenziale derivante dal decesso del congiunto, manifestandosi attraverso una trasformazione radicale e definitiva delle modalità di vita, accompagnata da sofferenza psichica e privazione del legame emotivo.

Questo tipo di danno comprende quindi un’ampia gamma di conseguenze emotive, psicologiche e relazionali che colpiscono profondamente i familiari superstiti dopo la morte di una persona cara.

La pronuncia si inserisce nel più ampio quadro giurisprudenziale volto a garantire personalizzazione, uniformità e prevedibilità nella liquidazione del danno non patrimoniale subito dai congiunti superstiti.

La Presunzione di sofferenza e la necessità della prova qualificata

Quando si verifica la perdita di un familiare, la sofferenza del congiunto superstite è presunta in via semplice (presunzione relativa). Questo principio si basa sull’id quod plerumque accidit: la relazione familiare di per sé genera una presunzione di dolore morale, sufficiente per il riconoscimento del danno parentale minimo.

Tuttavia, il vero punto di svolta, confermato dalla Cassazione, riguarda la quantificazione del risarcimento.

Per ottenere una liquidazione personalizzata e superiore al valore minimo previsto dalle tabelle, il familiare richiedente deve andare oltre la mera presunzione.

È fondamentale dimostrare la qualità e l’intensità dell’effettivo rapporto affettivo con la persona deceduta.

L’Ordinanza 21760/2025 della Cassazione chiarisce che:

  • La presunzione di sofferenza giustifica solo il danno parentale minimo;
  • Per ottenere un risarcimento personalizzato e più elevato, è indispensabile provare il rapporto affettivo concreto con il defunto;
  • La convivenza non è obbligatoria, ma rappresenta un elemento rilevante ai fini della quantificazione del danno.

Convivenza e allegazione di elementi concreti

Il caso specifico esaminato dalla Cassazione (un incidente stradale mortale con investimento di pedone) aveva visto in Appello una riduzione del risarcimento al minimo tabellare. La Corte d’Appello aveva motivato la riduzione basandosi su due elementi critici: 1. Assenza di convivenza tra la vittima e i familiari richiedenti; 2. Mancata allegazione di elementi concreti che dimostrassero l’effettivo vincolo affettivo.

In assenza di convivenza, il familiare ha l’onere di allegare e provare altre forme di relazione stabile e significativa, quali:

  • Comunicazioni frequenti e rapporti costanti;
  • Testimonianze sul supporto morale ed economico reciproco;
  • Presenza abituale nella vita quotidiana del defunto;
  • Eventi familiari condivisi.

Il sistema richiede ai professionisti del diritto una particolare attenzione nella fase di allegazione e prova del vissuto relazionale, elemento determinante per ottenere una liquidazione adeguata al pregiudizio effettivamente subito. La documentazione accurata dell’intensità del rapporto affettivo, della frequenza dei contatti, del sostegno reciproco e di ogni altra circostanza rilevante diventa così elemento essenziale per il successo dell’azione risarcitoria, trasformando la fase istruttoria in un momento cruciale per la determinazione del quantum debeatur.

L’incidenza del concorso di colpa in caso di incidenti stradali mortali

L’ordinanza fornisce anche importanti richiami in tema di responsabilità stradale, cruciali per la determinazione dell’importo finale del risarcimento.

La Cassazione conferma il principio generale della presunzione di responsabilità del conducente (ai sensi dell’art. 2054, comma 1, cod. civ.) in caso di investimento di pedone, salvo che il conducente dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare l’incidente.

Tuttavia, il risarcimento può essere ridotto proporzionalmente in presenza di un concorso di colpa del pedone, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., se la sua condotta risulta colposa, abnorme o imprevedibile.

È fondamentale ricordare che il concorso di colpa non esclude il risarcimento, ma lo riduce proporzionalmente.

Il criterio di liquidazione: le Tabelle a punti

La liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla perdita di un congiunto segue il criterio tabellare a punti, modello conforme a diritto secondo la giurisprudenza consolidata.

Le Tabelle Milanesi (aggiornate periodicamente) rappresentano il riferimento prediletto, garantendo valutazioni eque, oggettive e personalizzate del risarcimento danno da morte.

Parametri per la personalizzazione de Danno non patrimoniale

Il sistema a punti considera quattro parametri fondamentali:

  1. Età della vittima e del superstite: elemento oggettivo che incide sulla quantificazione considerando prospettive di vita e impatto emotivo;
  2. Grado di parentela: per i parenti stretti (genitori, coniuge, figli, fratelli) opera la presunzione di sofferenza morale;
  3. Convivenza o contatti regolari: la mancata convivenza è solo uno dei parametri da valutare insieme ad altri e non può da sola giustificare l riduzione drastica o simbolica del risarcimento;
  4. Intensità del legame emotivo: Parametro soggettivo che richiede allegazioni specifiche sui pregiudizi concreti subiti

Quindi la parentela garantisce il danno minimo, ma liquidazioni superiori richiedono prove concrete del vissuto relazionale per un risarcimento equo.

Il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto deve quindi essere allegato e compitamente provato da chi chiede il relativo risarcimento.

 

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