Con ordinanza n. 11137/2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di risarcimento del danno derivante da malpractice sanitaria o danno da malasanità: il principio di buona fede oggettiva esclude che al paziente possa essere imposto di sottoporsi a trattamenti sanitari per emendare danni prodotti da precedenti interventi chirurgici.
La Corte, quindi, ha rigettato la richiesta del medico danneggiante di ottenere la riduzione del danno in proporzione ai benefici che il paziente avrebbe potuto ottenere in emenda.
A seguito dei danni riportati per gli interventi di mastopessi, mastoplastica additiva e addominoplastica, la paziente proponeva domanda di risarcimento nei confronti del medico che li aveva eseguiti.
Nel primo grado di giudizio, venivano accertati i danni permanenti riportati dalla paziente al seno e all’addome quali diretta conseguenza dell’inesatto adempimento della prestazione da parte del medico, valutati nella misura del 12%, nonché un aumento a titolo di personalizzazione equitativa del danno, con una condannava a risarcire la paziente la somma complessiva di 55.000 euro.
La Corte d’Appello, invece, perveniva a conclusioni parzialmente differenti e, infatti, pur confermando il diritto al risarcimento dei danni, escludeva l’aumento per la personalizzazione riconosciuto dal giudice di primo grado e condannava il medico al pagamento, sempre a titolo risarcitorio, della minor somma di 52.947,27 euro.
Contro la decisione proponeva ricorso in Cassazione il medico, il quale, tra le varie censure riteneva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1227 c.c. e 2058 c.c., il giudice di primo grado avrebbe dovuto liquidare un minor importo risarcitorio in quanto la paziente avrebbe potuto rimediare ad una parte dei danni subiti sottoponendosi ad ulteriori trattamenti sanitari in emenda.
Precisamente, secondo le argomentazioni del medico, la Corte d’Appello avrebbe dovuto scomputare dal danno complessivo (riconosciuto in misura del 12%) i danni che non si sarebbero prodotti se la paziente si fosse sottoposta a interventi in emenda, quantificabili nella misura del 3% e, pertanto, con una percentuale di danno complessiva, minore rispetto a quella inizialmente quantificata e, pari al 9%.
Inoltre, il medico ricorrente sosteneva che alla percentuale del 9% si potessero esclusivamente aggiungere i costi sostenuti dalla paziente degli interventi riparatori, mentre il danno “biologico” evitabile doveva rimanere in capo alla stessa danneggiata.
Con la pronuncia in commento, la Cassazione, oltre a dichiarare infondato il ricorso promosso dal medico, statuisce anche in riferimento alla domanda di riduzione del risarcimento dovuto.
Sebbene la motivazione della Corte contenga questioni di ordine processuale di estrema importanza, il dato che ci interessa rilevare è quello per cui, nella sentenza,
Dall’ordinanza n. 11137 del 24 aprile 2024, si può ricavare la seguente massima:
“il fondamento del dovere del danneggiato di evitare l’aggravamento del danno risiede nel principio di buona fede oggettiva, quale principio specificantesi, in particolare, nel canone di salvaguardia dell’utilità della controparte nei limiti del proprio sacrificio personale o economico: limiti che sarebbero violati se, per adempiere a tale dovere, si imponesse al danneggiato di sottoporsi ad un intervento chirurgico”.
Pertanto, con la presente pronuncia la Corte statuisce che il fondamento del dovere del danneggiato di evitare l’aggravamento del danno (ai sensi dell’art. 1227 c.c.), va rintracciato nel principio di buona fede oggettiva che può impedire la riduzione dell’ammontare del risarcimento nel caso in cui il paziente decida di non sottoporsi ad un successivo intervento chirurgico volto ad emendare i postumi dell’errata esecuzione dei precedenti interventi da parte del professionista.
In conclusione, in caso di danni cagionati dal medico, al paziente non potrà essere contestato di non essersi sottoposto ad interventi in emenda (anche se necessari e dovuti) qualora ciò possa determinare un inaccettabile sacrificio personale o economico.
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