Una delle questioni più diffuse e causa di lite tra condomini concerne l’uso esclusivo da parte di alcuni condomini di beni di natura condominiale.
Un’importante lettura è stata fornita dalla Corte di Cassazione con Ordinanza del 22 giugno 2022 n. 2011. La Corte ha stabilito che al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato (altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti) sia attribuito ad uno o più condomini, è irrilevante la circostanza che l’area stessa, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta più proficuamente e frequentemente da uno dei condomini, occorrendo all’uopo un titolo di fonte negoziale (ravvisabile nel regolamento condominiale c.d. contrattuale) che conferisca al bene natura pertinenziale e la cui interpretazione presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito.
Si segnala che era ed è prassi comune in ambito dei regolamenti condominiali la previsione di clausole contenenti il cd. “uso esclusivo e perpetuo” di una parte comune.
Con la citata sentenza, la Suprema Corte ha chiarito la questione che coinvolge il diritto di uso esclusivo e perpetuo su un bene comune evidenziando che tale diritto nasce dalla prassi notarile e che la sua diffusione rappresenti, di fatto, un escamotage per risolvere, tramite la qualificazione surrettizia, problemi catastali.
La Corte evidenzia come sia incompatibile con le modalità previste, relative all’uso della cosa comune, la previsione di un uso esclusivo e perpetuo, inteso appunto come previsione pattizia diretta a disciplinare un tale uso
La Corte ritiene che il tema del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale debba essere inquadrato considerando la disciplina dell’art. 1102 c.c., rubricato “uso della cosa comune”, dettato per la comunione ma applicabile al condominio per il tramite dell’art. 1139 c.c., e statuisce che “L’uso”, quale sintesi di facoltà e poteri, costituisce allora parte essenziale del contenuto intrinseco, caratterizzante, del diritto di comproprietà, come, ovviamente, di quello di proprietà, a tenore del dettato dell’art. 832 c.c.. L’uso è cioè (non diritto, bensì) uno dei modi attraverso i quali può esercitarsi il diritto, e forma parte intrinseca e caratterizzante, nucleo essenziale, del suo contenuto”.
La Corte ha specificato che se è vero che he l’art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, i cui limiti non possano essere resi più severi dal regolamento condominiale ha statuito che “Se, però, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, resta fermo che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. 29 gennaio 2018, n. 2114; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27233)” Quindi è da escludere che, così come talune parti altrimenti comuni, alla stregua dell’art. 1117 c.c., possono essere attribuite in proprietà esclusiva ad un singolo condomino, a maggior ragione esse possano essere attribuite, con caratteri di realità, ad un singolo condomino, in uso esclusivo”.
La sentenza prosegue indicando che una tale previsione di uso esclusivo della cosa comune non può essere considerata una servitù prediale e non può neppure rappresentare un diritto reale di creazione delle parti.
Il problema però di fatto rimane aperto atteso che la stessa Corte ritiene che per stabilire se il regolamento abbia “inteso limitarsi alla attribuzione dell’uso esclusivo, riservando la proprietà all’alienante, e non abbiano invece voluto trasferire la proprietà richiama i principi ermeneutici dell’art. 1362 c.c.”, richiama al comma 1, il senso letterale delle parole, senso che, nel caso dell’impiego della formula “diritto di uso esclusivo”, depone senz’altro contro l’interpretazione dell’atto come diretto al trasferimento della proprietà; ma anche vero è che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è mai, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti”.
Quindi, per accertare che il disposto del regolamento di condominio che prevede l’uso esclusivo di parti condominiali non possa essere inteso come “diritto reale di uso esclusivo” occorrerebbe iniziare una serie di attività nei confronti dei condomini che hanno l’uso esclusivo volta ad ottenere, in caso di contestazioni, una pronuncia che accerti l’INCOMPATIBILITÀ con le modalità previste relative all’uso della cosa comune della previsione di un uso esclusivo e perpetuo, inteso appunto come previsione pattizia diretta a disciplinare un tale uso.
Ciò significa che per tutelare la proprietà del bene appartenente a quelli indicati dall’articolo 1117 c.c., il Condominio dovrà far valere la natura condominiale dello stesso attesa l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, mentre spetterà al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova.
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