La conciliazione sindacale è un procedimento attraverso il quale le parti, con l’assistenza del soggetto conciliatore, cercano di raggiungere la soluzione della controversia tramite un accordo che ha ad oggetto una transazione economica.
Attraverso tale procedimento il lavoratore rinuncia a rivendicare un proprio diritto o una parte di esso in cambio di un risarcimento monetario.
Il risarcimento del danno da perdita di chance è riconosciuto quando il lavoratore prova, anche in via presuntiva o secondo il calcolo delle probabilità, che avrebbe ottenuto la realizzazione della sua aspirazione, se non fosse accaduto un fatto illecito o comunque ingiusto che ha modificato la catena degli avvenimenti ed ha impedito la realizzazione dell’evento auspicato.
La giurisprudenza maggioritaria ritiene che possano rientrare nella fattispecie oggetto di analisi casi come quelli che elenchiamo a titolo esemplificativo e non esaustivo:
La perdita di chance rappresenta, dunque, un’ipotesi di danno patrimoniale futuro.
La disciplina di riferimento della tassazione del risarcimento del danno da perdita di chance si rinviene nel TUIR, all’art. 6, co. 2 del DPR n. 917/1986.
Tale disciplina statuisce che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, (…), e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati”.
In forza di tale norma, in giurisprudenza, si è precisato che devono essere ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, sempreché le stesse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente; in altri termini sono imponibili solo le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (cd. lucro cessante), sia presenti che futuri, del soggetto che le percepisce mentre non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (cd. danno emergente).
Recentemente, in materia, è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza del 5 maggio 2022 n. 14344, in tema di danno per la perdita di chance di accrescimento professionale a causa dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti stabilendo che il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale non è soggetto a tassazione.
La Corte ha chiarito che “In tema di imposte sui redditi, in base al dettato del DPR n. 917/1986 le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi”.
Pertanto, l’indennità corrisposta in sede transattiva dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale.
Su tale base concettuale, addentrandosi nell’esame del motivo di ricorso, avente ad oggetto la tassazione Irpef di tali redditi secondo l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, la Corte ha stabilito che “il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario; il giudice del lavoro ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito; tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’articolo 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito”.
Sul punto si era già pronunciata la Corte con la sentenza del 3 febbraio 2021, n. 2472, ribadendo la citata distinzione: sono soggette a tassazione, tra le somme percepite dal lavoratore a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi; sono invece fiscalmente esenti le somme liquidate a titolo di danno emergente.
La Corte ha perlatro precisato che “la natura del danno non è condizionata dal meccanismo latu sensu risarcitorio concretamente utilizzato, sicché non assume rilievo il richiamo alla disciplina contrattuale …. ai fini della determinazione del quantum debeatur”.
L’adozione di tale principio, definito “inappuntabile”, non viola alcuna norma di diritto, ma tiene conto esclusivamente della qualificazione giuridica del danno da perdita di chance.
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