La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (nella Causa C‑110/15) ha sostanzialmente bocciato la previsione del decreto Bondi (oggi, decreto Franceschini) che ha introdotto l’obbligo – per i produttori di dispositivi elettronici in grado di supportare la riproduzione digitale di contenuti protetti dal copyright – di corrispondere forfettariamente un importo a copertura del c.d. “equo indennizzo” per copia privata.
La finalità della norma era quella di rimediare all’inevitabile violazione del diritto d’autore, perpetrata attraverso l’uso di dispositivi elettronici, prevedendo un importo forfetario da imporre ai produttori di device, da ripartire tra gli autori iscritti, a titolo, appunto, di indennizzo per i mancati guadagni.
Il meccanismo di prelievo forzoso è contrario al diritto dell’Unione, perché non individua criteri sufficienti per escludere l’applicazione della pseudo-tassa qualora l’utilizzatore dimostri di non usare il dispositivo per la riproduzione privata, in quanto ne faccia usi professionali.
La SIAE ha rimarcato che la sentenza non ha in alcun modo delegittimato l’operato della concessionaria statale. Anzi, la decisione dimostra il riconoscimento della funzione svolta dall’ente, di cui non è discusso il ruolo sostanziale, né la legittimazione a chiedere quanto dovuto per l’abusiva riproduzione di contenuti protetti dal diritto d’autore.
Ben complesso sarà tuttavia l’iter per il recupero delle somme, atteso che, in assenza di una regolamentazione conforme, gli indennizzi finora indebitamente percepiti potranno essere rimborsati a richiesta dell’utilizzatore che dimostri di aver effettuato un uso esclusivamente professionale del dispositivo elettronico.
L’evidente complicazione non può che scoraggiare i piccoli utenti, a vantaggio dei grandi produttori e intermediari.
La questione, sollevata in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato nel giudizio promosso da innumerevoli società operanti nell’industria dell’elettronica, tra cui Nokia, lascia in verità poco da sperare al consumatore, che già si è visto rincarare il costo per l’acquisto dei device.
Non v’è chi non veda come un siffatto meccanismo di indennizzo sia stato concepito durante una fase ormai superata della diffusione dei contenuti digitali (copia privata), poiché attualmente la maggior parte dei contenuti è conservata in cloud, quindi al di fuori dei dispositivi privati, ovvero è riprodotta in streaming, attraverso i servizi leciti di abbonamento.
Chi paga, come al solito, sono i consumatori onesti – quelli che non hanno neanche mai lontanamente avuto bisogno di conservare una copia privata – i quali, loro malgrado, sono stati “penalizzati” per i “presunti” acquisti illegali di altri.
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