In ossequio al principio di libertà di organizzazione sindacale, sancito dal primo comma dell’art. 39 della Costituzione, il datore di lavoro ha la possibilità di decidere se applicare o meno nella propria azienda un contratto collettivo di categoria. In caso di scelta positiva, può valutare con un certo margine di discrezionalità a quale contratto fare riferimento per regolare il rapporto di lavoro con i dipendenti.
Il datore di lavoro può dunque scegliere l’associazione sindacale a cui iscriversi, ma una volta iscritto deve obbligatoriamente applicare il CCNL dell’associazione a cui ha aderito.
Il contratto collettivo dovrà essere applicato indistintamente a tutti i dipendenti, a prescindere dalla mansione concretamente svolta.
Non sono infrequenti, tuttavia, le controversie giudiziarie, in cui le parti contrapposte (da un lato datore di lavoro e, dall’altra, lavoratore) invocano l’applicazione di due diversi CCNL.
Sul punto è intervenuta la sentenza della Cassazione n. 22367/2019 che consente di identificare alcuni principi base in materia per l’individuazione dei soggetti vincolati all’applicazione di un certo CCNL.
Relativamente all’applicazione del contratto collettivo scelto dal datore di lavoro iscritto ad un sindacato, la sentenza della Corte di Cassazione n. 22367/2019 ha sancito il seguente principio : “i contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci “erga omnes” ai sensi della legge 14 luglio 1959 n. 741, costituendo atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti (vedi Cass. 8/5/2009 n.10632). Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata”(tra le tante, Cass. n. 24336/2013).
Dunque il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata (Cass. 3/8/2000 n. 10213).
Ne consegue che l’applicazione di un dato contratto collettivo, pertanto, può essere imposta al datore di lavoro quando il datore stesso sia iscritto alle organizzazioni sindacali datoriali stipulanti, oppure quando sia il contratto individuale a fare rinvio al CCNL, o infine quando l’applicazione del CCNL medesimo sia desumibile per fatti concludenti (“L’adesione ad un contratto collettivo può essere anche tacita e per fatti concludenti, ravvisabili nella concreta applicazione delle relative clausole”, Cass. n. 18408/2015).
In caso di una controversia circa l’applicabilità di un determinato contratto collettivo e in mancanza di iscrizione all’associazione stipulante, il giudice è tenuto ad un’attenta valutazione delle risultanze processuali allo scopo di accertare se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere egualmente sussistente la vincolatività della contrattazione (Cass. 3 novembre 2005, n. 21302).
Ai fini della prova dell’avvenuta recezione, secondo la giurisprudenza, è necessario che vengano osservate le clausole più rilevanti e significative (Cass. 30 gennaio 1992, n. 976).
Invece, non sarebbe sufficiente il semplice richiamo formulato dal datore di lavoro alle tabelle contrattuali dei minimi salariali (Cass. 29 aprile 2009, n. 9999) o la circostanza che il datore di lavoro abbia effettivamente applicato soltanto alcune clausole del contratto collettivo (Cass. 14 aprile 2001, n. 5596).
La Cassazione ha anche statuito che l’applicazione spontanea e costante nel tempo di numerose e significative clausole del contratto collettivo non comporterebbe l’adesione al contratto stesso nella sua globalità, ma implicherebbe comunque l’applicabilità delle clausole legate da un nesso di inscindibilità con quelle osservate spontaneamente (Cass. 3 novembre 2005, n. 21302).
Si rileva, da ultimo, che la fattispecie del recepimento non si concretizza se il datore di lavoro, pur avendo proceduto all’applicazione di alcune clausole del contratto collettivo, ne abbia contestate altre, dovendosi escludere in tal caso che il contratto stesso possa avere efficacia vincolante nei suoi confronti anche per quanto riguarda le clausole da lui contestate (Cass. 16 gennaio 1996, n. 319).
Uno degli interventi che spesso eseguiamo in favore delle aziende nostre assistite è quello dell’individuazione del CCNL più favorevole alle loro esigenze. Grazie ad interventi di riallineamento dei contratti di lavoro preveniamo vertenze di lavoro, stabilizziamo i rapporti con i dipendenti e riduciamo il costo del lavoro.
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