Il diritto alla privacy è in continua evoluzione nel nostro paese, soprattutto grazie alle tutele che man mano recepiamo dall’Unione Europea. Uno dei settori maggiormente sensibili da questo punto di vista è quello del diritto diritto del lavoro, con particolare riguardo ai controlli a distanza.
La disciplina sui controlli a distanza veniva introdotta in Italia nel 1970, tramite l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Questo prevedeva l’esplicito divieto di utilizzare impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. L’unica deroga a tele principio era ammessa per esigenze organizzative e produttive, ovvero per implementare la sicurezza sul posto di lavoro, ma solo ed esclusivamente previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, per tramite della Direzione Territoriale del Lavoro.
Il 24 Settembre 2015, grazie all’entrata in vigore del D.Lgs n. 151/2015, attuativo di una delle deleghe contenute nel Jobs Act, è stato riformulato il predetto art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Detto provvedimento ha contemperato le mutate esigenze organizzative e produttive aziendali (ormai ferme agli anni ’70) al diritto del lavoratore di svolgere la propria attività senza essere arbitrariamente sottoposto al controllo a distanza del datore di lavoro.
La regola non è più “il divieto” di utilizzo degli strumenti di controllo. Il legislatore ha infatti previsto l’installazione ed utilizzo degli strumenti di controllo per esigenze organizzative e produttive, di sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale. Rimane la necessità di accordo con le RSU o RSA, o in mancanza con la Direzione Territoriale del Lavoro.
La vera novità risiede nel fatto che le informazioni raccolte per mezzo di tali dispositivi possono essere utilizzate anche ai fini connessi al rapporto di lavoro, inclusi anche quelli disciplinari, a condizione che sia fornita al lavoratore un’adeguata informazione.
Le imprese con unità produttive dislocate in diverse province della stessa regione o in diverse regioni, possono stipulare i predetti accordi sindacali per l’installazione degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, anziché con le rappresentanze sindacali aziendali o le rappresentanze sindacali unitarie, con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, in difetto di accordo, è previsto che l’autorizzazione ministeriale sia concessa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
Non è necessario il preventivo accordo sindacale o autorizzazione ministeriale per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (pc, tablet, telefoni cellulari…), pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore;
Le condizioni per l’utilizzo degli strumenti di controllo a distanza sono essenzialmente tre:
Con nota n. 11241 del 1 giugno 2016, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito delucidazioni in merito al provvedimento cd. “di prescrizione” da impartire quando, nel corso di un’ispezione, venga accertata l’installazione o l’impiego illegittimo di impianti audiovisivi finalizzati al controllo a distanza dei lavoratori in servizio.
Chiarito che anche nella sua nuova formulazione l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori prevede che l’installazione di un impianto di videosorveglianza non possa avvenire antecedentemente ad uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali o mediante l’autorizzazione rilasciata dalla Direzione del Lavoro territorialmente competente, la predetta nota chiarisce come la violazione del precetto non sia esclusa dalla circostanza che tali apparecchiature siano solo installate ma non ancora funzionanti, né dall’eventuale preavviso dato ai lavoratori, né infine dal fatto che il controllo sia discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente.
A tal fine si segnala che la giurisprudenza di merito e quella di legittimità sono in linea nel confermare il divieto di installazione di tali impianti in difetto dei presupposti previsti dall’art. 4 della legge n. 300/1970, anche nel caso di telecamere “finte” montate a scopo esclusivamente dissuasivo.
La condotta criminosa è infatti realizzata dalla mera installazione non autorizzata dell’impianto, a prescindere dal suo effettivo funzionamento.
Sul tema la giurisprudenza penale ha più volte chiarito come l’idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori sia effettiva anche se l’impianto non venga messo in funzione. Posto che la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno, deve inquadrarsi la fattispecie tra i reati di pericolo.
La stessa Autorità Garante della Privacy ha ribadito più volte che non è legittimo provvedere all’installazione di un impianto di video-sorveglianza senza che sia intervenuto il relativo accordo con le rappresentanze sindacali o, in subordine, senza l’autorizzazione rilasciata dalla Direzione Territoriale del Lavoro.
Il legislatore sanziona il mancato rispetto della norma in materia di video-sorveglianza con un’ammenda da € 154,00 € 1.549,00 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno (art. 38 della legge n. 300/1970), salvo che il fatto non costituisca reato più grave.
Nella prassi, per nostra esperienza, qualora nel corso di un’ispezione venga riscontrata l’installazione di impianti audiovisivi in assenza di uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali ovvero in assenza dell’autorizzazione rilasciata dalla DTL, l’ispettore procedente solitamente impartisce una prescrizione, (art. 20 del d.lgs. n. 758/1994) al fine di porre rimedio all’irregolarità riscontrata mediante l’immediata cessazione della condotta illecita. Detta prescrizione, prorogabile a richiesta motivata del trasgressore, consiste nell’ordine di rimuovere materialmente gli impianti audiovisivi istallati illegittimamente. Tale adempimento è l’unico idoneo ad “eliminare la contravvenzione accertata”. Trattandosi di strumentazione tecnica, che necessità l’intervento di specialisti per la sua rimozione, l’organo di vigilanza deve fissare un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario ed idoneo ad eliminare la contravvenzione accertata.
Qualora venga siglato l’accordo sindacale ovvero venga rilasciata la predetta autorizzazione da parte della DTL nel periodo di tempo fissato dall’organo di vigilanza per la cessazione della contravvenzione, allora verrebbero meno i presupposti oggettivi dell’illecito. In tali casi l’ispettore ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilità per la contravvenzione commessa (art. 21 d.lgs. n. 758/1994).
Il tipo di illecito in parola è assai frequente soprattutto per le piccolissime e piccole imprese. Pertanto è necessario rivolgersi ad un professionista, prima e non dopo l’ispezione del Ministero del Lavoro.
La consulenza preventiva è il più economico ed efficace strumento di tutela per aziende e privati.
Studio Legale Salata
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