Con la sentenza emessa il 14 luglio scorso (cause riunite C-458/14 e C-67/15), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea scioglie un delicato nodo giuridico riguardante il regime delle concessioni per l’esercizio di attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri del nostro Paese.
In breve i fatti alla base di questa pronuncia della Corte del Lussemburgo: alcuni enti territoriali italiani, allo scadere delle concessioni per lo sfruttamento (a fini ricreativi) delle rispettive aree demaniali, negavano ai titolari ‘uscenti’ il rinnovo automatico, disponendo (in un caso) anche il bando per l’aggiudicazione, mediante gara, delle medesime aree.
I suddetti titolari impugnavano, quindi, gli atti in questione presso i competenti Tribunali amministrativi regionali (in questo caso, quelli della Lombardia e della Sardegna), invocando la violazione dell’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194/2009, il quale prevede la proroga automatica della durata di tali concessioni demaniali.
Com’è noto tale materia è puntualmente disciplinata dalla direttiva della direttiva 2006/123, a sua volta recepito nel nostro ordinamento dal D.lgs. n. 59/2010. In particolare, l’art. 12 della Direttiva prevede che “Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.
I Tribunali amministrativi regionali hanno, dunque, investito la Corte del Lussemburgo della seguente questione giuridica: se la vigente disciplina nazionale, rendendo impossibile a qualsiasi altro concorrente l’accesso alle concessioni in scadenza, sia compatibile con l’art. 12 della Direttiva citata.
Dinanzi ad un quadro normativo di questo genere la risposta della quinta Sezione della Corte non si è fatta attendere, risolvendo il netto contrasto tra la disciplina nazionale e quella europea a favore di quest’ultima: superate alcune questioni squisitamente processuali, il Giudice europeo va, infatti, dritto al cuore della questione, affermando che “una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni equivale a un loro rinnovo automatico, che è escluso dai termini stessi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123”.
Del tutto disatteso risulta, peraltro, l’argomento difensivo formulato dai ricorrenti italiani secondo il quale la proroga automatica delle autorizzazioni sarebbe funzionale alla tutela del legittimo affidamento dei gestori ‘uscenti’, in quanto consentirebbe di ammortizzare gli investimenti da loro effettuati. A tale rilievo la Corte replica che l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 prevede che gli Stati membri, nell’ambito delle procedure di aggiudicazioni delle concessioni, possano tener conto solo di interessi di carattere generale. Il passaggio, stringato, non pare però rendere adeguata giustizia di principi – quelli del legittimo affidamento del cittadino (o in questo caso dell’operatore economico) e della certezza del diritto – che caratterizzano fortemente il nostro ordinamento, e che in questo caso avevano ricevuto espresso riconoscimento e tutela in una norma di legge.
La decisione risulta di notevole importanza nonché di grande impatto economico: è infatti verosimile che le Amministrazioni competenti, allo scadere delle concessioni demaniali marittime e lacuali, negheranno ai titolari la proroga automatica, procedendo al contempo all’avvio di procedure selettive – ovviamente ispirate ai principi europei della materia – per l’aggiudicazione delle medesime.
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