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Data Aggiornamento: Giugno 2021

Mobbing sì, mobbing no!

Cos’è il mobbing?

Il c.d. mobbing può definirsi come un insieme di condotte attuate ai danni del dipendente, protratte nel tempo e con caratteristiche persecutorie finalizzate all’emarginazione del soggetto che le subisce. Dette condotte datoriali, materiali o provvedimentali che siano, debbono essere indipendenti da specifici obblighi contrattuali e dalla violazione di specifiche norme attinenti la tutela del lavoratore subordinato.

In tali casi, la sussistenza della lesione del bene giuridico protetto deve essere verificata in concreto, considerando l’idoneità offensiva della condotta datoriale, che può essere dimostrata per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificatamente da una connotazione persecutoria.

Il mobbing può essere “verticale” se la condotta è perpetrata da parte datoriale o da superiori gerachici, oppure “orizzontale” se posta in essere dai colleghi.

Elementi costitutivi del mobbing:

1. La persecuzione di carattere psicologico che può consistere varie condotte tra cui:

  • atti di aggressione verbale consumati innanzi a terzi, dipendenti e non;
  • comportamenti di carattere commissivo od omissivo, finalizzati all’esclusione o isolamento del dipendente dall’attività produttiva, evidenziandone diversità fisiche, morali, intellettuali, religiose o anche territoriali (si pensi ad esempio ai colleghi di lavoro i quali: non parlino con il soggetto mobbizzato, facciano circolare voci false sul suo conto – anche tramite social network -, o siano soliti ridicolizzarla per sue peculiarità);
  • atti di contenuto tipico, cioè strettamente legati al rapporto di lavoro ma che configuirino un ingiustificato accanimento nei confronti del singolo lavoratore (Es. controllo eccessivo della puntualità, discriminazioni di avanzamento di carriera, ripetute sanzioni disciplinari contra legem);

2. I tipi di aggressione anzidetti, per configurarsi mobbing, debbono essere sorretti da un ulteriore elemento: la sistematicità. Devono essere quindi ripetute nel tempo. Infatti, presi singolarmente, tutti i comportamenti descritti non hanno una connotazione necessariamente negativa e, comunque, non evidenziano alcuno disegno persecutori. Dottrina e giurisprudenza convengono nel ritenere che per la configurazione del mobbing la ripetitività dell’atto di aggressione ai danni del dipendente debba avere una cadenza settimanale, o quantomeno mensile, per una durata non inferiore a sei mesi consecutivi;

3. E’ inoltre necessario provare l’elemento psicologico che muove il predetto disegno. Ovvero incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare che la condotta subita sia frutto di volontarietà da parte di chi la mette in atto e che sia diretta proprio alla sua esclusione dalla realtà aziendale;

4. Deve quindi concretizzarsi un danno alla salute psicofisica del soggetto mobbizzato. A tal fine si segnala che il Servizio Sanitario Nazionale mette a disposizione del cittadino dei Centri Antimobbing in ogni regione. Tali centri valutano e certificano da un punto di vista medico legale gli effetti della condotta subita.

Quanto brevemente espresso non ha presunzione di completezza ma, semmai, aspira a chiarire alcuni dubbi nel cittadino medio. E’ chiaro che ogni singolo caso meriti una valutazione specifica, anche perché il mobbing non è l’unica gradazione possibile di patologia del rapporto lavorativa.

Il consiglio è dunque quello di ponderare bene eventuali contestazioni di mobbing al datore di lavoro e di rivolgersi ad un professionista che sia in grado di valutare il rapporto in maniera asettica, scevra da condizionamenti emotivi.

Studio Legale Salata

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