A decorrere dal 12 gennaio 2025 è entrato in vigore l’art. 19 della Legge 203 del 2024, il quale ha inserito il comma 7 bis all’articolo 26 del D. Lgs. 151 del 14 settembre 2015, di seguito riportato: «7-bis. In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza».
La norma disciplina le cosiddette “dimissioni per fatti concludenti”.
In sostanza, nel caso di assenza ingiustificata del Lavoratore superiore ad un determinato numero di giorni, il rapporto di lavoro può essere considerato risolto per volontà del Lavoratore e, cioè, per dimissioni.
La norma è stata concepita come risposta ad una esigenza di tutela del rapporto e di contrasto ai meccanismi distorti, particolarmente diffusi negli ultimi anni, legati – tra l’altro – alla possibilità, per il Lavoratore che si assenti ingiustificatamente e che per tale motivo venga licenziato, di fruire ugualmente del sussidio NASPI.
Come ricordiamo, tale sussidio viene accordato, in linea generale, a quei Lavoratori che abbiano subito la perdita “involontaria” del rapporto di lavoro, fermi restando tutti gli ulteriori requisiti specifici.
Ebbene, a fronte delle assenze ingiustificate del dipendente, il Datore di lavoro si vede spesso costretto a procedere a licenziamento, con obbligo, da un lato, di corresponsione a proprio carico del relativo “ticket”, e con facoltà, dall’altro, per il Lavoratore, di accedere alla Naspi per intervenuta cessazione “involontaria” del rapporto.
È evidente che tale assetto abbia comportato, e tuttora comporti, un meccanismo facilmente soggetto ad abusi, che ha dato origine a numerosi casi di condotte strumentali.
No. L’assenza ingiustificata, per dare origine ad una ipotesi di dimissioni di fatto, o “per fatti concludenti”, deve soggiacere ad una serie di condizioni, tra cui:
Con la circolare 6/2025 del ministero del Lavoro, quest’ultimo ha precisato che tale effetto risolutivo non discende automaticamente dall’assenza ingiustificata, ma si verifica solo nel caso in cui il datore di lavoro decida di prenderne atto, valorizzando la presunta volontà di dimettersi da parte del lavoratore e facendone derivare la conseguenza prevista dalla norma.
Quindi, il datore di lavoro, a partire dal sedicesimo giorno di assenza, o anche in un momento successivo, può darne specifica comunicazione, con apposito modulo, alla sede dell’Ispettorato territoriale del lavoro, competente in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro.
Per permettere all’Ispettorato di effettuare le verifiche circa la veridicità della comunicazione datoriale di assenza ingiustificata, il datore dovrà indicare tutti i contatti e i recapiti forniti dal lavoratore e trasmettere la comunicazione inviata all’Ispettorato territoriale, anche al lavoratore, per consentirgli di esercitare in via effettiva il diritto di difesa.
Secondo la lettera della norma, i giorni sono quelli previsti “dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni”.
A tal riguardo, è stato richiesto, che i contratti collettivi introducano una specifica previsione per l’abbandono del posto di lavoro con dei termini specifici, altrimenti si dovrà fare riferimento al termine previsto ai fini della rilevanza per la risoluzione del rapporto tramite licenziamento, con tutte le incertezze che ne derivano.
Non è chiaro, infatti, a cosa si riferisca il legislatore con la locuzione «oltre il termine previsto dal contratto collettivo», cioè se si voglia far riferimento al numero di assenze che, secondo il CCNL, già legittimano il licenziamento per giustificato motivo soggettivo oppure se riguardino esclusivamente quelle che concretizzano la “giusta causa” di recesso.
Infine, vale la pena sottolineare che, come evidenziato dal Ministero, diversi contratti collettivi riconducono ad un’assenza ingiustificata protratta nel tempo – di durata variabile, anche inferiore ai quindici giorni – conseguenze di tipo disciplinare, consentendo al datore di procedere al licenziamento per giusta causa. In tale ipotesi può essere quindi attivato il consueto procedimento disciplinare prevista dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.
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